La Nutria è un roditore di origine sudamericana, introdotto nella seconda metà del secolo scorso negli allevamenti industriali da pelliccia di tutto mondo. La sua pelliccia, infatti, era molto apprezzata, ed era nota con il nome commerciale di “castorino”. Da questi allevamenti numerosi esemplari, fuggiti o deliberatamente rilasciati dopo la chiusura, si sono naturalizzati e oggi la specie occupa un ampio areale in tutto il Paese, con particolare diffusione nelle zone pianeggianti e irrigue.
Il problema della Nutria interessa l’agricoltura, con danni di varia natura alle colture, ma anche la funzionalità idraulica dei corsi d’acqua, visto che gli esemplari compiono estesi scavi causando così crolli e cedimenti delle sponde, con problemi di tenuta degli argini. Inoltre, la nutria presenta impatti negativi anche sugli ecosistemi, danneggiando i canneti e i nidi degli uccelli acquatici. Infine, la specie è vettore di importanti zoonosi, tra cui la leptospirosi. Insomma, da qualunque parte la si guardi, la presenza della nutria è un problema.
Nonostante ciò, la specie ha sempre goduto in Italia di uno status invidiabile, quello di specie protetta dalla legge 157/92, non potendo essere sottoposta a interventi di controllo in assenza di specifiche autorizzazioni. Gli agricoltori non potevano quindi difendersi, ma i suoi danni venivano indennizzati dalle provincie o dalle aree protette, enti che, in presenza di impatti ritenuti troppo elevati, potevano comunque attivare piani di controllo.
Nel luglio del 2014, tuttavia, le cose cambiano. Alla specie è stata tolta la protezione di legge, venendo quindi considerata alla stregua di ratti, topi e talpe, e come tale potenzialmente oggetto di controllo da parte di chiunque. Tutto risolto, dunque? Neanche per sogno, anzi, la situazione è più complicata di prima.
Il primo problema è che, non essendo più specie protetta, lo stato non può pagare più i danni alle colture prodotti dalle nutrie. Però gli agricoltori dovrebbero poter controllare le popolazioni di nutria nelle loro aziende, esattamente come fanno con i ratti o le talpe. E qui sorge il problema: con che mezzi possono intervenire i singoli proprietari? Con i rodenticidi? No, non esistono rodenticidi registrati contro la nutria. Forse con il fucile? No, è necessario il porto d’armi ad uso venatorio, e casomai solo nei periodi e nelle aree in cui la caccia è permessa, ma secondo alcune interpretazioni ciò configurerebbe l’uso improprio di arma. Con le trappole? In teoria sì, ma le trappole per le nutrie sono grandi, e ci si espone al rischio di catturare fauna protetta o animali domestici. E poi, come si sopprimono gli individui, e con che costi e modalità gli agricoltori potrebbero smaltire le carcasse di una specie potenzialmente vettore di malattie? Si aggiunga che alcune regioni prevedono anche specifiche autorizzazioni per l’uso di trappole…
In questo pantano normativo, la soluzione che si è voluta profilare da parte del Ministero della Salute e dell’Agricoltura è quella di affidare ai comuni la realizzazione di piani di controllo, come previsto dalla Circolare Interministeriale del 31 ottobre 2014. In queste attività ci potrebbe (anzi, dovrebbe) certamente essere spazio anche per i professionisti del pest control, i quali potrebbero essere tra i soggetti incaricati della gestione di tutte le fasi delle catture, previa partecipazione a opportuni corsi di formazione.
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